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Imprenditoria-sociale-e-import-Intervista-a-Kevin-Ackermann

Nel corso della mia carriera ho conosciuto centinaia di imprenditori provenienti da ogni angolo del mondo. Tra quelli che sono rimasti impressi nella mia mente c’è sicuramente Kevin Ackermann, co-fondatore e amministratore delegato di BACA Jewellery LTD, una società con base a Londra. In quest’intervista Kevin ci racconterà la sua avventura, iniziata con un biglietto di aereo per Shanghai sino ad arrivare all’ONU.

Kevin, raccontaci qualcosa su di te, su come hai iniziato e in che modo sei arrivato a lavorare con la Cina

Sono un imprenditore sociale che gestisce due startup di base, rispettivamente, a Londra e San Francisco. La vendita al dettaglio è una delle mie passioni e ciò mi ha portato ad interagire con diverse aziende manifatturiere cinesi.

A BACA Jewellery, dove al momento occupo il ruolo di amministratore delegato, importiamo perle e altri componenti necessari per i nostri gioielli dalla Cina. Anche se oramai il 98% delle perle coltivate in acqua dolce proviene dalla Cina, che nel tempo si è costruita un’ottima reputazione in termini di qualità, ho comunque voluto visionare personalmente tutti i passaggi della catena di montaggio in modo da accertarmi che non stessimo sfruttando nessuno.

Sono atterrato per la prima volta a Shanghai nel 2010 per incontrare i manager, i designer e gli operai che si occupano di coltivare le perle. Me ne sono andato sicuro che il nostro nuovo partner cinese avrebbe soddisfatto sia i clienti che i miei partner commerciali.

Potresti spiegarci il significato del termine “Social Compliance” e che ruolo ha nel tuo business?

Significa che il profitto non è l’unico scopo della nostra impresa. Al contrario, ci occupiamo anche di verificare che tutti i lavoratori che contribuiscono alla filiera percepiscano paghe adeguate e possano lavorare in un ambiente sicuro e salutare.

Colgo l’occasione per suggerire a tutte le imprese che si occupano di importazione di considerare questo modello di business.

E’ ormai chiaro che, quando si importa dall’Asia, la “Social Compliance” gioca un ruolo chiave, sopratutto dopo che, nel 2013, il crollo di una fabbrica in Bangladesh ha ucciso più di mille persone. So però che tu sei un precursore, nel campo del business di importazione etico, se così si può chiamare. Com’è successo?

Penso che le nuove generazioni, in generale, non accettino più lo sfruttamento. Ed oggi giorno, grazie a internet, tutti possiamo informarci su quello che sta accadendo nel mondo e discutere con persone che la pensano al nostro stesso modo.

Penso che questo fatto possa aiutare a diminuire il gap tra ricchi e poveri. E’ infatti solo una questione di tempo prima che la gente smetta di acquistare da imprese che non assicurano condizioni di lavoro accettabili.

La ragione per la quale ho progettato il mio modello di business secondo i canoni della “Social Compliance” va probabilmente ricercata nella mia visita in Tailandia del 2008, quando ho visto per la prima volta le condizioni di lavoro disumano in cui versavano le giovani operaie tailandesi. Ecco, in quel momento ho deciso che, se mai avessi fondato la mia società, lo avrei fatto agendo secondo dei principi ben diversi.

Come si fa a trovare fornitori affidabili, certificati e, allo stesso tempo, rispettosi dell’etica che sta dietro la “Social Compliance”?

Bisogna visitare la fabbrica personalmente o affidarsi ad agenti locali che si conoscono e di cui ci si fida. Nel nostro caso ci fidiamo perché sanno bene cosa cerchiamo, in termini di qualità e standard.

Quando visiti la fabbrica di un fornitore cinese, quali sono i fattori principali che consideri per decidere se tale fornitore rispetta i tuoi standard, sia a livello di etica che di qualità?

Prendere una decisione basandosi solo su una semplice visita in fabbrica è impossibile. Noi tentiamo sempre di costruire una relazione a lungo termine basata sulla fiducia reciproca.

Pensi che una piccola società come la tua possa fare la differenza in paesi come la Cina, il Bangladesh o la Cambogia?

A livello di numeri il nostro impatto è alquanto limitato. Però la nostra immagine di impresa sociale ci ha dato la possibilità di dialogare e, speriamo, influenzare le società leader nel campo della distribuzione. Ultimamente, e ne andiamo molto fieri, siamo persino stati citati dai commissari per i diritti umani dell’ONU Navi Pillay e Mary Robinson.

Quali sono i piani per il futuro della tua società, BACA Jewellery? Pensate di espandervi in altre aree, a parte la gioielleria?

Al momento vogliamo focalizzarci sui gioielli e iniziare a produrli direttamente a Londra. C’è però da dire che la nostra società con base a San Francisco, Getupandup.com, è specializzata in indumenti sportivi.

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